Suono da sempre la musica di Fancelli non perché sia bella, non perché siano le composizioni di un genio, non perché Luciano era originale e avanti a tutti, suono Fancelli per la gioia che mi dona, per me prima che per gli altri.
Suono da sempre la musica di Fancelli non perché sia bella, non perché siano le composizioni di un genio, non perché Luciano era originale e avanti a tutti, suono Fancelli per la gioia che mi dona, per me prima che per gli altri.
Si è tanto scritto e parlato su Luciano Fancelli, sulla sua genialità, sul suo virtuosismo e sulle sue capacità artistiche e tecniche. Penso quindi che ormai tutti conoscano le sue virtù musicali e i grandi meriti artistici acquisiti nei suoi pochi, ma luminosi anni di vita.
Ma forse poco e a torto si è detto di lui come uomo.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo a fondo e da vicino come me, fin dai suoi primi debutti, sia nel campo strumentale che in quello della composizione, non può non aver riportato di lui delle meravigliose impressioni sulla sua umanità, sulla dolcezza del suo animo, sulla sua generosità e, soprattutto, sulla sua grande umiltà. Egli, infatti, si considerava sempre il meno bravo ehm pur quando le sue esecuzioni e le sue musiche avevano ottenuto il generale riconoscimento, egli si scherniva e cercava sempre di rimanere nel buio.
Oggi che c’è in ogni campo, e in particolare in quello artistico, un pauroso arrivismo, l’umiltà di questo vero artista ci appare ancora più evidente.
Ed è bene che i giovani conoscano, oltre alle sue musiche e alle sue esecuzioni, anche queste sue qualità umani, perché egli rappresenta un esempio luminoso per quanti si accingono ad entrare nel campo artistico.
Su Luciano Fancelli ci sarebbe da scrivere un libro intero: sui suoi modi garbati, sulla sua educazione, sulla sua riservatezza e sulla sincerità del suo sorriso, che non gli mancava mai in volto, come non manca su quello della sua mamma che tanto adorava e dalla quale aveva ereditato le migliori virtù.
Da Fancelli di Elio Boschello
Egli peregrinava da un luogo all’altro quasi sempre nei dintorni di Terni per ascoltare la musicalità di cui la campagna, i monti, le colline sono sempre letteralmente pervasi.
A sera ritornando nella sua casa, carico di poesia, assorbita nella contemplazione del paesaggio umbro, quasi sempre nella sua cameretta-studio, consumava svariate ore, cullato dalla dolcezza della notte, lavorando. E ognuno di noi, passando nelle vicinanze della sua abitazione e scorgendo quella cara finestra sempre illuminata e tanto suggestiva anche per il fitto buio delle numerosissime altre che le facevano corona, immaginava Luciano soltanto compositore, tutto preso nell’incantesimo dell’armonia.
nel Giornale d’Italia del 16.1.1957
Conobbi Luciano, aveva solo tre anni più di me. Papà gli chiese se ci faceva sentire qualcosa con la fisarmonica e lui molto cortesemente acconsentì. Ascoltandolo rimasi letteralmente folgorato. Non avrei mai immaginato che si potesse suonare in quel modo. Attraverso la sua tecnica prodigiosa e l’interpretazione egli esprimeva poeticamente la musica e questo era per me struggente. Il suo modo di essere esprimeva inoltre un carattere sincero, spontaneo, semplice e buono, tipico dei grandi artisti e totalmente agli antipodi dei mediocri che hanno la necessità di crearsi (con la loro boria) una maschera di sussiego e superiorità.
Ebbi l’impressione di trovarmi in un altro mondo. Papà e i genitori di Luciano si accorsero di questo mio stato d’animo. Allora papà mi disse: “Ti piacerebbe studiare la fisarmonica se Luciano te lo insegna?” Come se sognassi risposi: “Magari”. Papà lo chiese a Luciano che rispose: “Volentieri, ma prima vorrei fare con Leonida una certa prova”.
Si avvicinò al pianoforte e suonò gli accordi dicendomi se ognuno di essi era maggiore o minore, suonati allo stato fondamentale o rivolti, e io seppi dare la risposta giusta su tutti. Alla fine disse che avendo constatato il mio orecchio musicale era contento di avermi come suo allievo. Iniziai così quasi a 18 anni a studiare questo strumento che non avevo neanche toccato. […]
Durante le lezioni Fancelli mi chiedeva spesso amichevolmente un parere sulle sue composizioni. Quando compose “Ciri” prima di farmelo ascoltare mi disse testualmente: “Leò, finalmente ho composto un pezzo con accordi di cinque note per la mano destra”.
Luciano si andava sempre più affermando, iniziò a suonare alla Rai una volta alla settimana intitolando la sua trasmissione radiofonica: “L’angolino romantico”. Lo accompagnavano due famosi musicisti della Rai: Canapino e Vinciguerra, rispettivamente contrabbasso e batteria. Fu con questo trio che realizzò l’unico disco 45 giri che ebbe l’opportunità di fare. Purtroppo in quell’epoca le registrazioni erano rispetto ad oggi molto scadenti.
Luciano faceva concerti solistici e suonava con una buona orchestra Jazz di Terni. Volendo fare un duo con me trascrisse per due fisarmoniche la sinfonia “Jupiter” di Mozart, la “Rapsodia in blu” di Gershwin, la “Danza del fuoco” di De Falla, “Danza d’Anitra” dal “Peer Gynt” di Grieg e sempre dalla stessa opera per fisarmonica solista “Morte d’Ase”, un brano di cui mi innamorai perdutamente e che per tanto tempo ho desiderato suonare, ma non ero mai riuscito a trovarne lo spartito.
[…]Purtroppo la realizzazione del duo fu impossibile poiché poco dopo Luciano si ammalò e dopo solo 24 giorni morì. Per me fu una perdita incommensurabile. Avendo con lui grandi affinità musicali e una grande amicizia la sua mancanza mi bloccò al punto tale che per alcuni mesi non potei più toccare la fisarmonica. Quando la ripresi, dopo poche battute di “Acquarelli cubani” dovetti smettere: la fisarmonica era inondata di lacrime.
Luciano Fancelli est malheureusement mort trop jeune… Il rèpresente à l’accordeon ce que Charlie Parker est au saxophone.